E-commerce in Italia: c’è ancora tanto da fare

E-commerce in Italia: c’è ancora tanto da fare

In Italia c’è ancora tanta strada da fare per poter aprire la strada alla digital economy. Certo, i segnali ci sono. Ci sono soprattutto le influenze che arrivano dall’Europa, dagli Stati Uniti d’America. C’è anche un ampio miglioramento degli acquisti online, uno degli scalini più difficili da superare. Convincere una popolazione da sempre abituata a guardare e toccare prima di acquistare. Non hai più bisogno della bottega, ma solo della carta di credito: il negozio online è sempre aperto, le luci sono sempre accese. Puoi acquistare dal cellulare, sul divano di casa, prima di andare a dormire. E anche gli italiani hanno superato il timore dell’acquisto online. Merito anche (e soprattutto) delle aziende che hanno saputo conquistare la fiducia dei consumatori: hanno fornito un’assistenza clienti perfetta, un customer care online e offline capace di soddisfare ogni dubbio e incertezza. E poi ci sono i rimborsi e i resi: sono importanti, soprattutto nel settore dell’abbigliamento. La strada non è stata facile perché le abitudini sono difficili da superare, ma questo percorso ha portato il settore e-commerce a gestire una fetta di economia pari a 13,2 miliardi di euro. Questi dati sono interessanti anche perché confermano una grande importanza della digital economy, e una crescita del mobile commerce: gli italiani acquistano online, fanno spese pazze e le fanno soprattutto dal telefonino. Le parole di Repubblica (link sopra) sono importanti: Gli acquisti tramite smartphone sono infatti cresciuti del 289% nel 2013 e stanno registrando un’ulteriore crescita dell’85% nel 2014, passando così in due anni da un valore di 164 milioni a 1,2 miliardi di euro. Una crescita significativa che comunque resta fanalino di coda rispetto...
5 esempi di storytelling per la tua azienda

5 esempi di storytelling per la tua azienda

Si parla molto di storytelling, di narrazione adattata ai nuovi canoni del web e della comunicazione in generale. Si parla ancora di più di storytelling definito intorno alle esigenze aziendali. Il motivo? Semplice: le aziende hanno bisogni di raccontarsi, vogliono raccontarsi. Vogliono perdere il tratto opaco e monolitico del mondo corporate e vogliono raggiungere il […]

Si parla molto di storytelling, di narrazione adattata ai nuovi canoni del web e della comunicazione in generale. Si parla ancora di più di storytelling definito intorno alle esigenze aziendali. Il motivo? Semplice: le aziende hanno bisogni di raccontarsi, vogliono raccontarsi. Vogliono perdere il tratto opaco e monolitico del mondo corporate e vogliono raggiungere il pubblico, vogliono sfruttare la forza dei codici narrativi per toccare le corde giuste del target. Vogliono giocare sulle emozioni. Vogliono emozionare e informare. E vogliono farlo nel modo migliore possibile: lontano dalle logiche delle aziende – logiche che andrebbero avanti a colpi di comunicati stampa asettici – e vicine a quelle del potenziale cliente. Gli esseri umani amano le storie. Hanno comunicato sapere per anni attraverso le storie ed è ancora possibile farlo. Ma soprattutto le aziende possono sfruttare queste tecniche e piegare la narrazione per raggiungere gli obiettivi aziendali. Ecco cinque aziende che hanno colto perfettamente il senso dello storytelling. 1. Lego Movie Conosci i Lego, vero? Bene, lo storico brand di costruzioni non solo è riuscito ad appassionale diverse fasce di età (i Lego non sono solo un gioco per bambini), ma ha collezionato quello che viene definito come un caso di storytelling perfetto. La Lego, infatti, ha prodotto un vero e proprio film che ha come protagonisti i personaggi delle costruzioni: i classici omini gialli, tutti uguali se non per il taglio dei capelli e l’abbigliamento, affrontano le avventure della vita quotidiana. E alla fine della pellicola il messaggio è chiaro: adesso tocca a te, compra una nuova confezione Lego e costruisci la tua storia. 2. Uk energy consumption guide In...
Come rovinare in un attimo la tua content strategy

Come rovinare in un attimo la tua content strategy

Hai creato una strategia dedicata ai contenuti. Hai pubblicato un blog, hai creato articoli capaci di attirare l’attenzione del lettore, hai impiegato le tue forze per pubblicare delle infografiche e dei video. Adesso devi solo aspettare i frutti. Frutti che non arrivano. Non arrivano perché hai lavorato male? I contenuti sono scadenti? No, forse c’è […]

Hai creato una strategia dedicata ai contenuti. Hai pubblicato un blog, hai creato articoli capaci di attirare l’attenzione del lettore, hai impiegato le tue forze per pubblicare delle infografiche e dei video. Adesso devi solo aspettare i frutti. Frutti che non arrivano. Non arrivano perché hai lavorato male? I contenuti sono scadenti? No, forse c’è una gestione poco attenta del lavoro. Per ottenere il massimo dai tuoi contenuti devi lavorare sodo prima, durante e dopo la creazione. Altrimenti i tuoi sforzi saranno inutili. Ecco le migliori strategie (quindi da evitare come la peste) per mandare in fumo la tua content strategy. Niente brand Voglio mettere questo punto all’inizio. Perché è fondamentale – ripeto: fondamentale – pensare sempre al brand, dare importanza al tuo nome e cognome, al tuo logo, al nome del tuo progetto. L’assenza del brand su alcuni prodotti della tua content strategy può essere grave. Molto grave. Prendi come esempio le infografiche: hai speso molte risorse per creare un’infografica degna di tale nome. Che fai? Non metti il brand. Hai dimenticato di inserire il tuo nome e il tuo logo, magari anche l’URL del tuo blog. In uno scenario in cui le infografiche diventano uno strumento utile per far muovere il tuo nome online, l’assenza di questo dettaglio è insostenibile. Sul serio. Niente format Hai puntato sul video. Vuoi creare una rubrica dedicata a un argomento caro al tuo target e vuoi farti conoscere anche attraverso questo canale. Ottima idea, Youtube offre una piattaforma perfetta per caricare e diffondere video. Ma cosa vedo? Non hai un format, non hai un’idea, non hai uno schema nel quale inserire i tuoi contenuti....
6 tool alternativi per la tua attività social

6 tool alternativi per la tua attività social

Ci sono diversi tool che puoi utilizzare per svolgere la tua attività di blogger, SEO e social media. Ma chi lavora nel settore del web marketing usa sempre gli stessi strumenti: li consigliamo attraverso i tutorial, li tramandiamo a voce o via chat. L’esperienza personale conta, e consigliamo quasi sempre gli stessi ferri del mestiere. […]

Ci sono diversi tool che puoi utilizzare per svolgere la tua attività di blogger, SEO e social media. Ma chi lavora nel settore del web marketing usa sempre gli stessi strumenti: li consigliamo attraverso i tutorial, li tramandiamo a voce o via chat. L’esperienza personale conta, e consigliamo quasi sempre gli stessi ferri del mestiere. Ci sono delle attività che puoi svolgere solo con dei tool specifici, e altre che puoi portare a termine con degni e validi sostituti. Vuoi sapere quali? Vuoi dare corpo alla tua cartella dei preferiti? Voglio condividere la mia lista di tool alternativi con te: perché è giusto usare il meglio, ma è anche utile avere una “ruota di scorta” sempre a disposizione. 1. Hootsuite Lo strumento principe per chi deve lavorare con i social. Con Hootsuite puoi gestite, aggiornare e monitorare il tuo universo: difficile fare di meglio, sai? Eppure ci sono delle piattaforme che ti permettono di sostituire le grandi abilità di Hootsuite. La più importante ed efficiente è Buffer, un tool che riprende le principali funzioni di Hootsuite. La sua interfaccia è pulita, facile da usare, e si integra perfettamente con IFTTT. Inoltre puoi inserire un pulsante share sul blog e facilitare l’operazione di condivisione o programmazione direttamente dalle tue pagine. Buffer è un’ottima alternativa a Hootsuite, ma c’è anche TweetDeck da provare: questo tool, attenzione, è dedicato esclusivamente a Twitter. 2. Ubersuggest Ovvero uno dei tool più amati dai SEO. Con Ubersuggest puoi ottenere tutti i Google Suggest elencati in ordine alfabetico e definiti in base a diverse combinazioni di lettere. Un must che può essere sostituito da un altro tool simile: KeyWord Tool....
Personal branding: da dove iniziare?

Personal branding: da dove iniziare?

Bella domanda. Tutti dicono che bisogna fare personal branding, che non puoi sopravvivere senza personal branding: il freelance deve impegnarsi in questo settore, ma anche il dipendente non può tirarsi indietro. Perché in questo mondo, lo sai bene, c’è un continuo rimettersi in gioco. Il posto di lavoro fisso, come quello al Comune, non esiste […]

Bella domanda. Tutti dicono che bisogna fare personal branding, che non puoi sopravvivere senza personal branding: il freelance deve impegnarsi in questo settore, ma anche il dipendente non può tirarsi indietro. Perché in questo mondo, lo sai bene, c’è un continuo rimettersi in gioco. Il posto di lavoro fisso, come quello al Comune, non esiste più. O comunque è raro, e tu devi essere in grado di contare sempre sul tuo nome. Un nome che deve essere ricco di significati. Sì, questo è il punto di partenza: inizia a ragionare in questi termini, inizia a pensare al tuo nome e cognome non solo come quella sigla che hanno scritto sulla carta d’identità ma come una sintesi del tuo curriculum. Pronunciare il tuo nome e cognome deve essere sinonimo di… bene, questo dipende dalle tue competenze. Quello che posso dirti è che c’è un punto di partenza ben preciso che io chiamo formazione. Studiale il personal branding Esatto. Prima di iniziare a fare personal branding devi studiare. Poi studierai anche in seguito, certo, ma devi iniziare da questo: devi iniziare dai libri, dai corsi, dai webinar, dagli interventi. Devi iniziare da chi ne sa più di te. Io qui ti consiglio di leggere almeno due ottimi libri: la pubblicazione di Sestyle con i quattro esercizi dell’IPER Formula e il grande Personal Branding di Luigi Centenaro che mette a disposizione anche uno schema per sviluppare la tua strategia. Ricorda che il tempo passato a studiare non è inutile. Guarda le persone che hanno successo: quello che costruiscono è dato proprio dal fatto che in passato hanno studiato. Anzi, hanno fatto formazione....